Intervista al prof. Ciro Dovizio

Il 25 gennaio 2022 il Comune di Milano ha annunciato la costituzione di un nuovo Comitato Antimafia e di un Comitato per la Legalità, la Trasparenza e l'Efficienza amministrativa, composti rispettivamente da cinque e quattro componenti che resteranno in carica fino alla fine del mandato, collaborando a titolo gratuito. A presiedere il primo Nando Dalla Chiesa, per l'altro è stato scelto - in realtà è una riconferma - Gherardo Colombo. 

Tutti i dettagli in questo articolo del quotidiano La Repubblica.

Tra i nomi illustri del Comitato Antimafia c'è quello del nostro docente di Storia e Filosofia professor CIRO DOVIZIO, a cui gli studenti hanno rivolto alcune domande relative al suo impegno nella sensibilizzazione alla lotta contro la mafia.

Intervista di La Fauci Federica, Marsala Isabel con la collaborazione della redazione de La Macchia.

“Il crimine è un pezzo di umanità e, in quanto tale, ineliminabile.”

Il nostro personale contributo, per quanto possibile, alla campagna antimafia inizia così:

 

  1. Quale percorso di studi ha intrapreso? Aveva attinenze specifiche riguardo al tema della mafia?

Mi sono laureato in storia contemporanea a Milano e ho cominciato ad interessarmi della questione sin dal liceo. All'epoca si facevano le tesine di maturità e io scelsi di fare una tesina sulla mafia. Cominciai per una serie di ragioni, un po' perché io ho origini campane: i miei genitori si trasferirono qui a Pioltello poco prima che nascessi. Dai loro racconti emergeva la presenza di questo problema (del problema della criminalità organizzata) soprattutto della camorra che negli anni Ottanta fece non pochi sfaceli tra Napoli e provincia. Gli anni 80 furono anni di guerre tra gruppi camorristici che provocarono un’ecatombe, e questo era un punto. Poi c'era il fatto che crescevo a Pioltello e da ragazzino ebbi modo di percepire la presenza di crimine organizzato di tipo mafioso. Da lì mi venne l'interesse, ero comunque appassionato di storia e cominciai un po' a studiare e approfondire la questione, cosa che ho continuato in università. Poi ho fatto il dottorato proprio su questo argomento.

È stato istituito nel 2017 un dottorato alla Statale di Milano in studi sulla criminalità organizzata, io partecipai e venni ammesso con un progetto sul giornale "L'Ora", un giornale palermitano dalla storia piuttosto antica, fondato nel 1900 dalla famiglia Florio, in particolare da Ignazio Florio, rampollo della dinastia più illustre di imprenditori siciliani aristocratici, e che nel secondo dopoguerra fu acquistato dal Partito Comunista che chiamò poi alla direzione un giornalista calabrese, il quale,  appunto, per la prima volta nella storia mise un giornale a fare inchieste sulla mafia e sulle complicità politiche. All'epoca il bersaglio era soprattutto la Democrazia Cristiana, che è stato il partito più importante, tanto in Italia quanto in Sicilia, nel secondo Novecento. Poi ho finito il dottorato un paio d'anni fa e non ho mai cessato di occuparmi della questione.

  1. A proposito di questo. Sappiamo che recentemente è entrato a far parte di un’associazione nell’ambito della lotta contro la mafia. Di cosa si tratta, in modo più specifico?

Innanzitutto, si tratta di un comitato. 

È stato formato da Nando Dalla Chiesa, che è un sociologo, è stato un politico ed è il figlio del generale Carlo Alberto  Dalla Chiesa, il quale subì un attentato a Palermo nell' ‘82 (di cui quest'anno peraltro ricorre il 40esimo anniversario), per volontà del sindaco di Milano Giuseppe Sala. È stato lui a invitarmi a partecipare a questa struttura a servizio del Sindaco e dell'amministrazione che ha come scopo il contrasto ai fenomeni di tipo mafioso e della criminalità organizzata a Milano, su tutto il territorio milanese, ed è una struttura di tipo consultivo, cioè composta da un gruppo di studiosi che, coordinati appunto da Dalla Chiesa, si occupano di studiare la questione, di promuovere svariate attività antimafia, di redigere rapporti su questioni particolarmente delicate, di interesse civico e che coinvolgono, spesso direttamente, l'amministrazione in quanto ente locale.

Si tratta dunque di una commissione sostanzialmente di studio e di analisi. Oltre a ciò collabora con la commissione consiliare antimafia e ha come obiettivo anche quello di fare rete con tutta una serie di istituzioni che si occupano di contrasto alle mafie, per cui forze dell'ordine, commissione parlamentare antimafia, eccetera.  L'idea è quella di pervenire a una linea comune, di creare una situazione di accordo e di convergenza virtuosa su questo punto. 

 

  1. Se abbiamo capito bene il suo interesse è nato anche da ciò che sentiva raccontare dalla propria famiglia; quindi, c’è stata qualche altra particolare ragione per cui ha deciso di intraprendere questo tipo di attività?

Dunque, quando ci si avvicina a questi argomenti c'è sempre una dimensione biografica. Io sono solo cresciuto Pioltello e Pioltello è interessata, non da ora ma da decenni, da problemi di crimine organizzato e con importanti riflessi sulla vita giovanile.

Quando ero ragazzino, avevo all’incirca la vostra età, vedevo, notavo, registravo, osservavo e capivo che c'era della capacità di condizionamento, non paragonabile a quella delle aree di insediamento tradizionale, come vengono definite dagli studi, ad esempio di un paesino della Calabria o della Sicilia, ma comunque si sentiva, si percepiva. E allora è anche in ragione di un sentimento…

Da una percezione personale, dunque...

Sì, sì, certo, quando si studiano queste cose, diversamente da altri argomenti c'è quasi sempre un discorso di sensibilità personale e di sensibilità civile, molti studiosi condividono questo tipo di prospettiva. 

 

  1. Anche attraverso la sua esperienza personale, ma soprattutto facendo riferimento alle sue conoscenze, pensa che ci sia un diverso radicamento del fenomeno mafioso tra il Nord e il Sud Italia? In che misura?

È una questione articolatissima. C'è una differenza, naturalmente, anche perché in alcune aree delle regioni meridionali il problema è risalente nel tempo, si parla di 160 e più anni di presenza, quindi si ha, in alcune aree, in alcuni casi, una continuità storica profonda che non può essere messa a confronto con quella delle regioni del Nord. Certo è che però in alcune aree del Nord le mafie hanno avviato modalità di penetrazione nel tessuto sociale e talvolta anche istituzionale e politico, fondamentalmente nel campo degli affari. Le ultime inchieste, ad esempio, designano l'Emilia Romagna come una delle aree più interessate dal problema delle mafie al di fuori dei confini tradizionali, ma anche Roma è interessatissima dal problema, da decenni. La Lombardia, anch'essa da decenni è oggetto di penetrazione, di presenza di gruppi mafiosi di varia provenienza geografica, in particolare, negli ultimi anni, di quelli calabresi. Ma anche aree del Piemonte...insomma, si tratta di uno spargimento a macchia di leopardo; non dovete immaginare una presenza capillarmente diffusa sul territorio, non è questa la situazione.

 

  1. Sempre riguardo a questo divario tra Nord e Sud secondo lei in che misura la mafia va a condizionare l'economia, anche facendo riferimento al riciclaggio del denaro sporco?

Sono questioni molto complesse…molti studiosi hanno evidenziato la capacità di condizionamento negativo delle mafie non soltanto, appunto, dal punto di vista della convivenza civile, di meccanismi democratici, ma anche dell'economia. Esiste, cioè, un problema di distorsione del tessuto economico a opera della criminalità organizzata. Il condizionamento del mercato, dei meccanismi di mercato, la concorrenza dove c'è mafia è messa a dura prova, se non più semplicemente abolita. Oltre a ciò, si aggiunge un problema di riciclaggio di denaro sporco, cioè di investimento dei denari guadagnati illegalmente, cioè frutto di attività illecite, narcotraffico, rifiuti eccetera, che per le mafie ha sempre rappresentato un vantaggio competitivo, in quanto fonte di ricchezza spendibile, per il fatto che poi le imprese che possono contare su capitali illeciti spesso sono in grado di offrire un prezzo diverso, un prezzo inferiore, più vantaggioso all'istituzione che appalta un determinato lavoro. Questo perché possono risparmiare sui costi, in quanto denaro alle spalle ce n'è in abbondanza. Il discorso sull'incidenza dei gruppi mafiosi nell'economia, considerando il lato finanziario, sarebbe molto lungo e complesso da affrontare dettagliatamente. 

  1. Noi infatti avevamo toccato vari punti, tra cui anche l'ambito del turismo. Secondo lei l'industria turistica, appunto tenendo conto comunque di tutte le attrazioni già presenti, sarebbe oggi assai differente al Sud senza questo radicamento della dell'attività mafiosa?

Non mi sento in grado di dare una risposta netta, nel senso che i gruppi mafiosi sicuramente si inseriscono nei settori di interesse turistico, perché tenete conto che il principio costitutivo di ogni gruppo definibile come mafioso è il controllo del territorio. Per questo motivo può propagarsi anche in territori lontani dall'area originale. Ma tendenzialmente gli stabilimenti balneari di coste vicine ad aree mafiose sono oggetto di penetrazione criminale, così come gli stabilimenti balneari, movida, cioè locali, dove c'è tanta ristorazione; sono tutti i settori in cui si registra spesso una presenza di tipo mafioso. Il problema è incistato anche nel sistema di funzionamento dell'economia nazionale. C'è tutta una legislazione, un’attrezzatura di cui lo Stato, nelle sue varie articolazioni, si è dotato. È complicato.

 

  1. Dunque la mafia sicuramente ha condizionato il corso della storia in maniera non indifferente. In particolare, secondo lei è cambiato qualcosa dopo il ’61? 

Sì, si può dire che l'Italia di oggi è un’Italia lontanissima da quella del 1861. Il 1861 è l'anno dell'unificazione, in cui si raggrupparono popolazioni diverse in una stessa cornice istituzionale, ma la quantità di problemi fu enorme all'indomani dell'unificazione, bisognava omogeneizzare i sistemi fiscali, di gestione politica, le monete, il sistema amministrativo, istituzionale, brigantaggio eccetera. Il problema era di ben altre proporzioni rispetto a quello che abbiamo oggi. Ma anche rispetto alla questione della mafia nel corso degli anni sono stati fatti passi avanti molto importanti. Il problema non è risolto, assolutamente, però c'è da dire che rispetto al passato molto è stato fatto, molto resta ancora da fare ovviamente, altrimenti non avrebbero senso tutte queste iniziative e questa attenzione verso il problema, siamo però molto lontani dai picchi di emergenza che ci sono stati nei decenni scorsi. Ci sono stati momenti in cui le mafie, soprattutto quella siciliana, hanno davvero messo in crisi la tenuta delle istituzioni democratiche, hanno davvero incrinato la convivenza civile di intere province, ma oggi siamo lontani da quello.

Non siamo però vicini allo smantellamento del problema. Un po' perché è fisiologico: il crimine è un pezzo di umanità, e, in quanto tale, ineliminabile. Però il crimine organizzato può essere messo in condizione di non nuocere più se si prosegue su una strada di attenzione e di valorizzazione degli strumenti che sono stati messi a punto e perfezionati negli anni. Sicuramente c'è anche un discorso sul vedere se quegli stessi strumenti vadano mantenuti esattamente come un tempo, se sia necessario correggerli in funzione del cambiamento, delle trasformazioni di contesto. Il tempo passa, l'Italia non è la stessa e non lo sono nemmeno le mafie. Poi entreremmo troppo nello specifico.

 

7. Nell’ambito dell’istruzione, quanto, secondo lei, può pesare il radicamento della mafia nella scelta delle cattedre universitarie italiane?

Non fate l'errore di usare il termine mafia in modo eccessivamente estensivo, il discorso è che la parola si usa non solo per indicare gruppi di crimine organizzato di origine meridionale, ma ha avuto una fortuna internazionale. Si usa anche per parlare di politica oppure di università eccetera, però non c'entra. Facciamo un uso improprio della parola. Il problema che ha l'università è di gestione interna, di reclutamento, di logiche un po' opache, poco trasparenti, che però non devono essere assimilate al concetto di mafia, perché altrimenti non capiamo niente. 

Per quale motivo c'è questo fraintendimento?

Ma perché la parola mafia ha avuto talmente tanta fortuna da essere poi utilizzata per tante altre cose, per indicare corruzione, malaffare di vario tipo, quando, ad esempio, si sente parlare di un affare gestito dalla politica e lo si collega mafia. Dire “tutto è mafia” oppure dire “questo è mafioso” significa, se assumiamo un atteggiamento analitico, fare un errore. Perché il barone universitario che raccomanda una persona per qualcosa, e la sua scelta va a danno di un'altra persona, non per questo può essere definito mafioso. Poiché altrimenti, come disse una volta Sciascia "se tutto è mafia, niente è mafia", cioè se si estende indefinitamente il campo di applicazione della parola, del concetto, non possiamo più distinguere cosa è mafia da cosa non lo è. Quindi questo è importante rimarcarlo.

  1. E' possibile secondo lei creare le condizioni perché ciascuno dia il proprio contributo alla lotta alle mafie? 

Sì, io penso di sì, tant'è che io non sono un investigatore, non è che ritenga di svolgere un ruolo determinante, decisivo. Io nel mio piccolo mi occupo professionalmente di conoscenza: la conoscenza stessa è il presupposto stesso per qualsiasi forma di opposizione a poteri criminali, a gruppi di tipo mafioso. Io mi occupo di storia, perché poi sono uno storico, fondamentalmente (che si è occupato di questi temi). E attraverso la prospettiva storica si possono dare, anche nel dibattito a scuola, in università e in città, degli elementi di riflessione, anche di conoscenza su cosa le mafie sono state in determinati contesti, luoghi, tempi…spunti che concorrono a creare un tessuto civile più consapevole su questi problemi, su questi temi. La funzione della cultura, dell'istruzione su questo è importante, è sempre stata considerata importante da un certo momento in poi. Però un modo giusto di affrontare la questione forse non c'è. Poi capita spesso che si cada nella retorica, “sì, che bello il mito, la lotta alla mafia” eccetera, e poi però non si capisce che cosa sia la mafia, si entra poco nel merito. È una delle tante prospettive possibili però: chi fa l'avvocato può dare il suo contributo in un modo, chi fa il commercialista in un altro, chi fa l'amministratore, il funzionario, ciascuno nella propria posizione può a suo modo fornire un apporto, ciascuno a suo modo può incamminarsi e partecipare a questa necessità civile, facendo sì che questo problema venga una volta per tutte sradicato.